Io sono il Passante

IO SONO IL PASSANTE

di Annalisa D’Amato

Brani e frammenti dall’opera di Arthur Rimbaud tradotti da Mario Biagini.

Coproduzione : Fondazione Pontedera Teatro, Diego Armando Maradona Montesanto – Zonne Illuminate Autogestite (Napoli),  Album Zutique

Data : 2002-2003

Con: Monica Bianchi, Arsenio D’Amato, Annalisa D’Amato, Francesco Forni, Savino Paparella, Matilde Politi, Zvi Tal, Emanuele Valenti

Collaborazione artistica: Giordano Acquaviva

“Una scena da abitare. Una stanza ricoperta per intero di tappeti orientali, condivisa con gli spettatori che stanno lungo un lato. Piena di oggetti familiari, un letto di ferro battuto sul fondo, una vecchia poltrona sotto una lampada da lettura. E poi bottiglie di birra a terra, vuote, a dirci di un tempo già passato, di altre esperienze vitali non condivise. Potremmo immaginare di essere nella casa di Rimbaud in Africa, quando il giovane transfuga della poesia si fece mercante d’armi. Ma le luci che pendono a festoni e le musiche che invadono lo spazio ci parlano anche di una festa, che è il qui e ora del teatro. È prima di tutto un luogo e una nostalgia Io sono il passante creato da Annalisa D’Amato con il gruppo Album Zutique, attori e danzatori e musicisti di diverse provenienze. Uno alla volta gli interpreti si fanno avanti, come per presentarsi.
Ciascuno porta le proprie abilità o la maschera di un’identità che fittizia, protetta occhiali scuri e minigonna o gesti da cowboy. Un brano cantato alla chitarra, un breve monologo, una danza con la fisarmonica ormai consumata in altre stagioni teatrali. Le seduzioni di un eros fugace. Una ingombrante presenza paterna, per nulla appartata su quella poltrona. Lasciando che siano le parole di Una stagione all’inferno e delle Illuminazioni a dirci per frammenti quel sentimento sospeso fra il bisogno di essere al presente, “assolutamente moderni”, e i richiami di una vita per una parte già compiuta, di chi sta sulla linea d’ombra della giovinezza. La felicità è il mio verme, annotava Rimbaud.”
Gianni Manzella, il manifesto, 16 marzo 2003